Intervista a Benedetto Della Vedova, Sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale - Mandato Diritti Umani

L'Ufficio Stampa del Global Campus of Human Rights ha avuto l'opportunità di intervistare il Sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale - mandato Diritti Umani – Benedetto Della Vedova sulle sue opinioni su possibili futuri sostenibili per Venezia e su come l'arte e la cultura migliorano le relazioni internazionali*.

Quest’anno ricorrono i 1600 anni di Venezia e i suoi festeggiamenti. Visto il Suo ruolo di Sottosegretario, ci piacerebbe conoscere la Sua visione sulla città di Venezia, come si può aiutarla a ripartire e che cosa si potrebbe costruire per un futuro sostenibile?

Secondo l’ONU, la pandemia, oltre all’emergenza sanitaria globale, ha anche provocato una crisi dello sviluppo sostenibile. Ce lo dicono anche gli SDGs dell’Agenda 2030 rispetto ai quali siamo in grave ritardo, incluso l’Obiettivo 11 su come rendere le città e gli insediamenti urbani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili. Questo ritardo riguarda anche Venezia e a metà luglio c’è il rischio che l’Unesco, se lo Stato italiano non si decide di affrontare alla radice i nodi irrisolti, la inserisca nell’elenco dei patrimoni mondiali in pericolo. Il passaggio dei flussi turistici e delle grandi navi nel canale della Giudecca, i marginamenti in laguna, la riconversione del porto di Marghera e altro ancora sono tutte questioni che pesano sul futuro della città.

Ciò premesso, sono pronto a scommettere che Venezia ripartirà prima di tante altre città per via della sua sconfinata e vibrante offerta culturale, e come luogo di sperimentazione ideale. Per accompagnare questa ripartenza ci vuole però un piano d’interventi funzionali allo sviluppo sostenibile di tutto il territorio veneto, con fulcro Venezia. A mio avviso, tale piano dovrebbe basarsi su tre principali linee d’intervento.

La prima è il passaggio, entro il 2030, all’elettrico e all’idrogeno per tutti i mezzi di trasporto. Venezia deve rappresentare l’avanguardia nella transizione energetica e nella sostenibilità ambientale con interventi come la creazione di un Polo dell’Idrogeno, la decarbonizzazione e la circolarità, la promozione di iniziative come VeniSIA (Venice entrepreneurial international Sustainability Innovation Accelerator) quale centro d’innovazione e accelerazione sui temi della sostenibilità, in sinergia con altre fondazioni e centri di ricerca.

La seconda è d’interpretare i fenomeni della globalizzazione che si materializzano nella città in maniera previdente e lungimirante, puntando a un turismo di qualità, diventando tecnologicamente avanzati in modo da attirare residenti stanziali anziché visitatori mordi e fuggi, anche attraverso piattaforme digitali per il turismo sostenibile come Smartland, e tornando a quello che è sempre stata la sua identità di grande crocevia delle più diverse culture. Il centro storico di Venezia va ripopolato e per questo va attuato un piano di residenzialità dedicata, fiscalità agevolata e servizi per lavoratori, studenti e residenti in generale.

La terza è il settore dell’educazione, questione che tocca da vicino il Global Campus: rilancio dell’offerta formativa, che è già ricca, e miglioramento dei servizi e della residenzialità per studenti per fare di Venezia una città campus di livello internazionale.

Certo, queste proposte comportano un costo – dai 2,5 ai 4 miliardi di euro secondo alcune stime – ma il bello è che sono coerenti, non solo con la Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile, ma anche con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che consentirà di utilizzare le risorse finanziarie del Next Generation EU per la ripresa dalla pandemia per accedere al quale sono ammesse convergenze di programmazioni e conseguenti sinergie.

D’altra parte, nei suoi 1600 anni, Venezia è stata continuamente colpita da epidemie, in particolare dalla Peste che fu il suo vero grande nemico. Le due basiliche votive - la Salute e il Redentore - sono lì a ricordarci come Venezia ne è sempre uscita da vincitrice.

Come potrebbero, l’arte e la cultura, migliorare le relazioni internazionali tra l’Italia ed altri Paesi?

L’Italia è una media potenza politica e militare, ma una grande potenza artistica e culturale. Arte e cultura – quello che oggi viene chiamato soft power – sono sempre state al centro della nostra politica estera ma oggi dobbiamo fare un salto di qualità. E, per meglio proiettare il nostro soft power verso l’esterno, alla Farnesina siamo alle battute finali di una riorganizzazione interna che vedrà la nascita, all’inizio del 2022, di una nuova Direzione Generale che si occuperà di public diplomacy e comunicazione, di diritti umani, della rete dei nostri istituti di cultura all’estero, della promozione della lingua italiana nel mondo, della ricerca scientifica. In una fase in cui il multilateralismo, magari su nuove basi valoriali, sta tornando in auge come metodo per raggiungere il consenso globale, assistiamo anche all’emersione di nuovi attori – le città e le loro reti, le organizzazioni regionali, quelle non governative e della società civile…- che ci impongono di risolvere le sfide che abbiamo davanti promuovendo relazioni internazionali fondate su regole condivise e non su rapporti di forza o di potenza.

Venezia è da sempre percepita come una vetrina per tutta l’Italia. Quali potrebbero essere i temi di discussione più interessanti nell'Agenda del Ministero degli Affari Esteri riferiti alla città per quest'anno di ripresa, pensando soprattutto alla sua specifica condizione primaria di città d’arte internazionale?

È vero, Venezia è per noi una vetrina e, non a caso, per dare un segnale che la ripartenza prende le mosse proprio da Venezia, è stata scelta per ospitare, dall’8 all’11 luglio, il vertice dei ministri dell’economia e delle finanze del G20. In previsione, poi, delle celebrazioni dei 1600 anni della fondazione della città, la Farnesina ha promosso, attraverso la sua rete diplomatico-consolare e gli Istituti di Cultura all’estero, una serie di attività culturali per valorizzare questo importante anniversario. Le faccio qualche esempio. In aprile, si è inaugurata a Mosca la mostra “Sotto la Maschera di Venezia” dedicata alla cultura veneziana del ‘700, con più di cento opere provenienti dalla Fondazione Musei Civici di Venezia esposte per la prima volta in Russia. In maggio, a Lima, si è tenuto un convegno, organizzato con l’Università Iuav, dal titolo “Teatri nel Mondo”, nell’ambito del ciclo “1600 anni di Venezia. Storia, architettura, città”. Da maggio a giugno, a Santiago del Cile, una collaborazione tra il nostro Istituto di Cultura e la Universidad Finis Terrae ha dato vita a un corso online sull’arte e la cultura di Venezia. Questo è un assaggio di iniziative organizzate sinora ma ce ne saranno altre nel corso di tutto il 2021.

Come potrebbe il Global Campus of Human Rights, associazione di 100 Università di tutto il mondo con sede al Monastero di San Nicolò di Venezia, aiutare nei lavori del Ministero degli Affari Esteri considerando l’eccellenza nell'educazione sui diritti umani?

In Italia la politica estera è tradizionalmente considerata come un cantiere dove l’accesso è autorizzato ai soli addetti ai lavori mentre quello che manca è una vera foreign affairs community sul modello anglosassone. Per comunità intendo quindi Governo e Parlamento – ovviamente – ma anche l’accademia, i centri di analisi e ricerca, le università, gli esperti sui grandi media…un mondo variegato che deve farsi rete e contaminarsi. In questo contesto l’educazione ha un ruolo centrale da svolgere. In tempi recenti, poi, leader etno-nazionalisti e populisti hanno messo per la prima volta in discussione non solo gli strumenti di protezione internazionale – stabilendo loro quali gruppi sociali fossero detentori di diritti e quali no, come se i diritti umani non fossero più universali né indivisibili - ma addirittura il diritto internazionale come stella polare nei rapporti tra Stati. Tenuto conto della sfida che abbiamo davanti è importante andare alla radice della questione, vale a dire all’istruzione e alla formazione sui diritti umani e il diritto umanitario internazionale come vera e propria materia di studio. I centri di eccellenza sono quindi ben posizionati per offrire questo importante contributo.

Ci può lasciare un messaggio per i nostri docenti, studenti e staff del Global Campus of Human Rights?

Volentieri. I diritti umani sono un processo e, come tutti i processi, possono andare avanti ma anche indietro, come un pendolo. Per questo vanno continuamente coltivati, difesi e promossi. Oggi sono sotto attacco, un po' ovunque nel mondo, come dicevo prima. Alla domanda “dove hanno inizio i diritti universali?”, Eleanor Roosevelt rispondeva: “nei piccoli luoghi, vicino a casa”. Ecco, è da lì che dobbiamo ricominciare se vogliamo un mondo dove vivere in libertà e diversità sia ancora possibile.

 

* le dichiarazioni sono state condivise il 30 giugno 2021, in occasione della Quarta Online Global Campus of Human Rights Conversation

 

Per maggiori informazioni contattare l’Ufficio Stampa del Global Campus of Human Rights

Elisa Aquino – Isotta Esposito – Giulia Ballarin

pressoffice@gchumanrights.org

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